Durante un recente corso sulla leadership inclusiva, una partecipante ha detto qualcosa che mi ha colpita profondamente:
“Questa formazione è stata consolatoria.”
Non mi era mai capitato di sentire la formazione descritta in questo modo. Consolatoria. Una parola inusuale in un contesto formativo, che ha acceso in me una riflessione profonda.
Sergio Marchionne, parlando della leadership, affermava:
“La leadership non è anarchia. In una grande azienda chi comanda è solo. La collective guilt, la responsabilità condivisa, non esiste. Io mi sento molte volte solo.”
Ed è vero. Chi guida un team, un’azienda o un’organizzazione si trova spesso a dover prendere decisioni difficili, assumendosi responsabilità che non sempre possono essere delegate. Anche quando si ascoltano consigli e si coinvolgono altre persone, la scelta finale ricade sulle spalle del leader. E in quel momento, si è soli.
Non è necessariamente un aspetto negativo: la solitudine può essere vissuta come uno spazio di riflessione, un momento per maturare decisioni più consapevoli. Tuttavia, quando si protrae nel tempo e diventa una condizione costante, può trasformarsi in un peso.
Una manager mi ha posto una domanda provocatoria:
“Esiste uno stile di leadership talmente inclusivo da rimuovere la solitudine?”
Forse sì. Una leadership che promuove il dialogo, la condivisione e il confronto con punti di vista diversi può ridurre quella sensazione di isolamento. Quando il leader non è il solo detentore delle decisioni, ma costruisce un contesto di fiducia, apertura e partecipazione, il peso della solitudine si alleggerisce.
Ma non è un percorso semplice. Essere leader inclusivi significa accettare che il modo di fare altrui è diverso dal nostro. Significa gestire il proprio vissuto emotivo, evitando la tentazione di correggere continuamente il lavoro degli altri. Significa fidarsi e delegare, accettando che esistono modi differenti, e ugualmente validi, di raggiungere un obiettivo.
La parola “consolazione” può sembrare fuori contesto quando si parla di leadership e crescita professionale. Eppure, nel suo significato più profondo, consolare significa alleviare un peso, offrire strumenti per affrontare una sfida con maggiore consapevolezza e forza.
Forse quella manager aveva ragione: una formazione ben fatta può essere consolatoria nel senso più alto del termine. Perché permette di guardare le cose da un’altra prospettiva, di sentirsi meno soli/e e di trovare strumenti concreti per affrontare il ruolo di leader con maggiore serenità.
Dopotutto, come diceva Cervantes:
“Vale più una parola al momento giusto che cento nel momento sbagliato.”
Ti è mai capitato di sentire il peso della solitudine nel tuo ruolo di leadership? Cosa ti ha aiutato a gestirla?
Se vuoi approfondire il tema della leadership inclusiva, lasciami un commento o scrivimi: il confronto è il primo passo per ridurre la solitudine!
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